I racconti ~ Morire, dormire, forse sognare

Thomas Lawrence, L'attore J. P. Kemble nei panni di Amleto, 1802



Le luci dei riflettori sono calde. Il palcoscenico è deserto, e Amleto lo percorre a passo spedito, testa alta e petto in fuori. Controlla il diaframma con una contrazione esperta, inspira e butta fuori il fiato, la voce: il più celebre dei monologhi riempie il teatro.

Essere o non essere, questo è il problema…

Con un gesto teatrale, solleva il palmo della mano, fissa il cranio di gesso e distoglie lo sguardo. Lo lascia scorrere sulla platea gremita e la contempla, la interroga, la sfida.

Che cos’è più nobile, soffrire nell’animo per i sassi e dardi scagliati dall’oltraggiosa Fortuna…

Un vecchiaccio in sovrappeso tossisce catrame dalla terza fila.

…o impugnare le armi contro un mare di affanni e combatterli fino a farli cessare?

Altri colpi di tosse.

Amleto stritola il teschio e scruta in silenzio tra le poltroncine. Le luci sulla platea sono soffuse, ma distingue con chiarezza un signore incravattato che ronfa, il gomito puntato su un bracciolo e la guancia adagiata sul palmo; poco più in là, una poppante piagnucola tra le braccia della madre. Altri colpi di tosse sparsi, nasi soffiati e mormorii. Lampeggiamenti di schermi mobili sorvolano spalti e sedili come sciami di lucciole: assediano il palco da ogni lato.

Morire, dormire… Niente di più”.

Amleto si arresta.

Silenzio.

Possibile che da quell’altra parte nessuno capisca che c’è uno spettro, un padre da vendicare? Una madre che ha tradito? Uno zio che come Caino si è lordato le mani di sangue? Anche se per finta, il teschio che stringe tra le dita è così tremendamente vero… Appena avrà finito il suo monologo, la dolce Ofelia lo raggiungerà sul palco e lui le parlerà fino a farla impazzire fino a farla annegare

Amleto vorrebbe pensare, ma il brusio imperterrito lo riporta al presente, gli conferma che è tutto perduto: non importa quanto lui ragioni o si strugga davanti ai loro occhi. La sua tragedia è inesprimibile. Incomunicabile.

Ecco l’intoppo… Chi sopporterebbe le sferzate e le irrisioni del tempo… gli scherni da parte della gente indegna…

Amleto si ferma e si morde la bocca. Molla la presa sul teschio di gesso, che cade con un tonfo e rotola sulle assi del palcoscenico.

Ecco, il silenzio ora è assoluto.

Amleto sorride alla folla, beffardo. Che sia davvero l’eccesso di coscienza a rendere tutti vili, incapaci di compiere imprese gloriose?

Si volta verso il fragile velo che fa da fondale: Ofelia attende laggiù, pronta a entrare in scena, pronta a impazzire. Una lugubre dolcezza lo pervade. Ora che ha le mani libere, una voce gli sussurra che è tempo: bisogna rompere la quarta parete.

Sorride ancora e tende le braccia, le mani verso la platea. La calda luce dei fari gli avvolge le dita, le scarnifica e le rivela per quello che sono: nude falangi che si sgretolano in un pulviscolo di grani luminosi.

Con un volteggio incorporeo, Amleto fluttua giù dal palco e aleggia nell'indifferenza del pubblico. Il chiarore che emana oscura quello dei dispositivi elettronici.

Morire, dormire… Dormire, forse sognare”.

Un ultimo soffio di luce. La sua voce da spettro si spegne.



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