I racconti ~ Il ruggito dell'Orda

 


Il ruggito dell’Orda si abbatté sul portone del tempio: il legno rinforzato tremò; dall’altra parte del muro, una pioggia di calcinacci, polvere e detriti investì Abelan.

“Dèi, datemi la forza”, boccheggiò il chierico, senza mollare la presa sul fardello che stringeva tra le braccia.

Un altro assalto, un’altra scarica di pietra e polvere. Dal fagotto premuto al petto, il mugolio di una bimba in lacrime. Abelan curvò le spalle e la testa per coprirla meglio: una cascata di sassolini gli passò sui capelli e la tonaca; alcuni detriti più grossi rimbalzarono sulla cotta di maglia.

“Non avere paura”, la rassicurò il chierico, “Se non ne hai, non possono trovarti.”

Mentre parlava, le sue labbra sfioravano i capelli della piccola. La conosceva bene, quella chioma bionda come il grano.

Da fuori, un altro ruggito dell’Orda. Abelan sobbalzò e sfregò senza volerlo la barba sulla testolina tiepida. Tra le sue braccia, l’ennesimo tremore.

“Non temere, Evelyne... non temere...”

Il chierico si allontanò dal portone e attraversò la navata del tempio: il pavimento di marmo era crepato in più punti e imbiancato di polvere; le panche sul lato destro erano ribaltate, quelle a sinistra spezzate sotto il peso delle macerie.

Abelan raggiunse l’altare disadorno: nessuna traccia del calice o dei candelabri. Solo un moccolo di candela a spandere gli ultimi barlumi tra le ombre sempre più lunghe. Il chierico si inginocchiò, liberò Evelyne dall’abbraccio protettivo e la adagiò a terra, di spalle alla porta.

Gli occhi azzurri della piccola erano pieni di lacrime, la lunga treccia disfatta per gli scossoni della fuga. Cinque anni, troppo pochi per guardare oltre il muro. L’uomo allungò una mano ruvida e le accarezzò la guancia con un dito.

“Ti ricordi chi sono io, Evelyne?”

“Padre Abelan.”

“E cosa dice sempre Padre Abelan, Evelyne, te lo ricordi?”

“Le preghierine.”

Abelan abbozzò un sorriso. “Le preghierine, già...”

Evelyne gli restituì la carezza. Le sue dita di bimba passarono sulla barba ispida, sul naso rotto e insanguinato in più punti.

“Padre Abelan... le preghierine... non me le ricordo più...”

Il chierico si morse il labbro; il ruggito dell’Orda era sempre più forte. Il portone aveva già iniziato a cedere, la parete a franare: dai primi squarci nel legno sbucavano i primi arti vizzi, i primi occhi senza pupille.

“Nemmeno io, bambina mia. Ti va se facciamo un gioco, invece?”

“Un gioco nel tempio?” Evelyne sorrise; era riuscito a sorprenderla. “E quale?”

Un altro ruggito, altri varchi e altre mani. Doveva fare presto.

“Il gioco di nascondersi e cantare.” Il chierico le fece l’occhiolino e azionò il congegno sotto l’altare: si aprì una nicchia segreta. “Qui dentro.”

“Ma tu sei troppo grosso, Padre Abelan!”, rise Evelyne. Rise anche lui.

“Hai ragione, andrò a cercarmi un altro posto.”

“E cosa canteremo?”. Ancora un ruggito; sempre più occhi senza iride. Ma Evelyne non poteva vederli né sentirli, non più.

“Il Girotondo senza Re”. Sistemò la piccola, le porse il cerino ancora acceso e le sorrise. “Non avere paura, Evelyne. Mai.”

Padre Abelan richiuse la nicchia segreta e si alzò. Nel tempio si era fatto buio. Davanti a lui, oltre il muro e la porta fatta a pezzi, c’era l’Orda. Una vocina risuonò dall’altare.

Uno... due e tre... Girotondo senza Re...

Il chierico si stracciò la tonaca sporca di sangue e calcinacci; le dita ruvide incontrarono gli anelli della cotta metallica.

Quattro... cinque e sei... Nel castello non ci sei...

Snudò la mazza ferrata, invocò il suo dio e sfolgorò di luce bionda come il grano. Il portone e la parete crollarono: un ammasso di esseri putridi, ricoperti di piaghe e carne cadente gli stava davanti.

Sette... Otto... Gira tutto, sopra e sotto...

            L’Orda si mosse; riecheggiò l’ennesimo ruggito. Ruggì anche Padre Abelan, con tutto il coraggio che aveva. Sfondò con la mazza ogni cranio, ogni mascella che poté. Strinse i denti e sopportò lo strazio degli artigli, dei morsi che lo squartavano vivo. Chiese la forza al suo dio, lui ormai non ne aveva più. Al suo posto, rispose la vocina tranquilla di Evelyne.

            Nove... Dieci e più... Il castello non c’è più.” 

 

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 Su Minuti Contati, anno 2021

Oriana Ramunno Edition, racconto finalista

 

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