I racconti ~ Una mossa di Cavallo
Nella palestra allestita
per la simultanea l’odore è aspro, l’aria densa. Mi fermo sulla porticina
d’ingresso: tra la brezza di fuori e il calore di dentro è come stare sul
confine tra due mondi. Allungo il collo oltre l’uscio. Un crocchio di
appassionati e curiosi è riunito attorno ai tavoli, tutti in religioso
silenzio. Si sente solo il ticchettio degli orologi.
Controllo il borsello
ancora una volta: taccuino, biro e pedone portafortuna sono al loro posto; non
c’è motivo di essere nervosi. Sono qui solo per un altro, banale articolo di
cronaca locale. E potrei benissimo anche non scriverlo. Non devo niente a
nessuno, figurarsi a questi quattro scacchisti di provincia.
Il cuore mi cala di un
paio di battiti. Ce la posso fare. Oltrepasso la soglia.
Lo squittio delle scarpe sul pavimento gommato attira subito sguardi di rimprovero. Il desiderio di girare i tacchi si fa impellente. Mi rifugio negli appunti.
Quella del comprensorio
elementare di Brunetto non è più una semplice palestra ma un tempio. I banchi,
oggetti solitamente fuori posto in uno spazio del genere, ora tracciano un
cerchio magico di scacchiere e scacchisti.
Il Laurenti, vecchio
campione, è l’unico in piedi e danza sul filo del perimetro sacro. Lui, solo
contro tutti. Sommo sacerdote di un culto che non ammette errori, conferisce
aperture e tatticismi come sacramenti.
Gli basta uno sguardo per spingersi più in là di molte mosse, molte partite.
Nel chiaro dei suoi occhi vive il mistero di un dono visionario...
Inchiodo la penna sulla
carta. Vale la pena sprecare il mio tempo per un
mucchio di pezzi di plastica? Arriccio il naso. Meglio limitarsi
all’indispensabile.
Una nota di merito al
circolo locale, una all’assessorato alla cultura e agli sponsor che hanno
patrocinato l’evento. Una menzione al corso base e alla campagna di
tesseramento, magari. E il classico un ringraziamento all’ospite per aver
onorato il territorio della sua presenza.
Ecco, per il trafiletto
del giornale locale è già più che abbastanza. Una simultanea di scacchi in una
palestra gommata, in fondo, è ben poca cosa; l’espressione annoiata di Laurenti
me lo conferma.
Ripongo penna e taccuino,
prendo lo smartphone e scatto una foto al campione mentre sfioretta con
l’Alfiere in b5: ha appena inchiodato
la Donna del Nero in c6. Un trentenne
grassoccio in quindicesima scacchiera si accorge dell’errore, sobbalza sulla
sedia e depone il suo Re. Che pollo. Laurenti gli stringe la mano e passa
oltre.
Ora che ho scattato anche
la foto, non ho più motivo di restare. Il resto dell’articolo posso scriverlo a
casa, lontano da quest’aria viziata e con tutte le comodità. Sovrappensiero,
faccio scivolare il telefono nel borsello, invece che nella tasca dei jeans. Immergo
la mano per recuperarlo. Alla cieca, le dita sfiorano la pelle del taccuino, il
tappo di plastica della biro... No. Sussulto. È la testa rotonda del mio pedone
portafortuna. Il suo tocco è una scarica elettrica che mi attraversa dalle dita
alla fronte. Il cuore riprende a galoppare.
Inspiro l’aria densa
della palestra. Laurenti ha appena costretto altri due nerd sciagurati ad
abbandonare: ancora errori e tatticismi evitabili. Chissà che strazio, per uno
come lui, venire qui a perdere tempo con degli imbecilli.
Lascio perdere il pedone
e rimetto in tasca lo smartphone. Incrocio un’occhiata di Laurenti. Chiaro e
irresistibile, il suo sguardo è una calamita che mi inchioda sul posto. Tra i
solchi delle rughe e il bianco della barba, la sua espressione è indecifrabile;
il suo volto è quello di una sfinge. Non dice nulla, si volta e riprende a
muoversi tra le scacchiere. Non posso andarmene, non più.
Un
omone attempato, dal ventre pingue e le ciocche canute, un maglione color panna
che ha ben poco dello charme di Capablanca... ma il suo sguardo è magnetico, il
suo modo di studiare e governare i pezzi sprizza scintille di elettricità
pura... Ogni sua mossa, anche la più semplice, è una nota rubata alla musica di
Philidor... una formula matematica tolta a Lasker...
Stritolo la biro e mi
mordo le labbra: in quanti, qui dentro, sarebbero in grado di cogliere anche
solo una scheggia del potere di astrazione, la vertigine visiva di cui un
campione è capace? Alzo gli occhi dalla pagina: Laurenti ha
concluso altre dodici partite. Tutte le altre sono in pieno mediogioco o si
avviano verso finali già vinti.
Nel
novero degli sconfitti si contano ragazzini brufolosi, nidiate di bambini,
parecchi signori spelacchiati e qualche vecchietto del circolo. Mi viene da
ridere: non posso scrivere di Philidor e Lasker su un quotidiano locale. Non
devo menzionare l’estro tattico né la fratellanza tra Mikhail Tal e Bobby
Fischer: buttarla in politica, piuttosto; accostare l’impresa di Laurenti –
spappolare cinquanta disperati – a quella di chi sconfisse i Russi per la
gloria dell’Occidente...
Prendo un’altra boccata
di aria viziata. Ho grattato così forte con la penna da bucare i fogli del
taccuino. Non sarei mai dovuto venire in questa palestra puzzolente.
Mi avvicino al cerchio
magico per fare il punto della situazione. In settima scacchiera Laurenti ha un
pedone di vantaggio e una superiorità posizionale schiacciante; in sedicesima
il suo Re è imprendibile e la Torre domina la colonna aperta; in
ventiquattresima preme sulle diagonali con la coppia degli Alfieri; in
trentesima il suo Cavallo ha appena dato scacco al Re e mina la base di una
catena pedonale. Tutte queste partite il vecchio Laurenti le ha ipotecate, sono
già in cassaforte.
L’unico
avversario a dargli filo da torcere è un ragazzetto occhialuto, dalla mascella
volitiva e il naso da aquila, che si ostina a resistergli in quarantasettesima
scacchiera, seminando trappole e tatticismi uno dopo l’altro. Potrà avere sì e
no sedici anni. Veste semplice ma curato, faccia pulita, capelli corti e neri.
La determinazione che ha negli occhi mi ricorda quella del giovane Botvinnik,
che a quattordici anni sconfisse Capablanca in una simultanea...
Laurenti fissa assorto la
scacchiera. Il Bianco e il Nero si contendono il centro in un groviglio
inestricabile. Il campione fa la sua mossa, aumenta la tensione sul centro e se
ne va, lanciandomi un’occhiata delle sue. Siamo solo io, lui e il ragazzo; è
come se il resto non esistesse. Altri due o tre giri di mosse e Laurenti si
ritroverà davanti al giovanotto senza più distrazioni. Niente più imbecilli tra
i piedi; solo gli scacchi, quelli veri.
Contemplo
il dedalo bicolore di sinergie e trabocchetti che i due giocatori si tendono a
vicenda. Lo seguo crescere, mossa dopo mossa, fino ad arrivare al punto di
rottura.
Il
tratto è di Laurenti: non so quante varianti ci veda lui, ma a colpo d’occhio
io ne scorgo almeno due e passano entrambe dallo stesso pezzo. La prima è un
cambio di Cavalli che semplifica il gioco, la seconda è un balzo caotico che
trascende le mie capacità di analisi. Il dono di Philidor, Capablanca e Bobby
Fischer, io non l’ho mai avuto...
In compenso, scatto la
foto migliore di tutte: il giovanotto e il campione assorti a sviscerare il
mistero un attimo prima della deflagrazione.
Lo
sguardo chiaro del vecchio è lontano, perso a inseguire chissà quali vertigini:
quante combinazioni saprà scovare da quel reticolato magmatico?
Gli
occhi del ragazzo lampeggiano impazienti. È teso, si capisce; ma non vede l’ora
di affrontare la tempesta...
Attendo la mossa con
trepidazione, come se al loro posto ci fossi io. Laurenti allunga una mano
verso il Cavallo. Lo solleva. Il telefono mi trema tra le mani: avevo ragione,
sta per farlo davvero. Il pezzo tra le dita del campione fa per tracciare una “L” volante, ma si inchioda a mezz’aria.
Il tempo nella palestra si ferma insieme al pezzo nella sua mano. Non si sente
più neanche il tic-tac dell’orologio
da torneo: ma quanto è lungo, quest’attimo? Laurenti socchiude gli occhi
azzurri e posa il pezzo sulla scacchiera. L’orologio riprende a ticchettare, il
tempo a scorrere. Nessuna variante tagliente. Nessuna esplosione. Laurenti ha
cambiato i Cavalli.
Nella
palestra del comprensorio sono in pochi ad aver compreso la portata
dell’accaduto. Il crocchio di spettatori osserva con soddisfazione i rapidi
cambi di pezzi leggeri al centro della scacchiera; prima i Cavalli, poi gli
Alfieri.
Le
mani del campione e del giovane volano a turno sui pezzi, scambiano alcuni
pedoni e lasciano uno spiraglio per il fuoco delle Torri. Cambiano anche
quelle. Sulla scacchiera ora c’è il vuoto, una limpida desolazione che si
irradia dal centro...
Lo sguardo di Laurenti è
sempre lo stesso, chiaro e indifferente. Quello del ragazzo è livido. Lui
avrebbe scelto il caos, senza dubbio. A costo di perdersi, avrebbe sfidato la
vertigine: me lo conferma la mascella contratta, il gesto secco della mano con
cui accetta gli scambi e batte sull’orologio da torneo.
La posizione si è schiarita. Si susseguono alcune manovre di pedone e Re: Laurenti ha indirizzato la partita verso la patta. Gliela offre. Si può evitare? Se il ragazzo forza il gioco su una linea più tagliente, doppierà i pedoni e perderà il finale. Deve accettare, non ha scelta. Ma il suo volto è una maschera di rabbia...
La simultanea è terminata,
il campione ha chiuso con quarantanove vittorie e una patta. Nel crocchio di
spettatori serpeggiano applausi e complimenti sparsi. Laurenti stringe la mano
al giovane ed esce dal cerchio. Viene verso di me. Mi rivolge una rapida
occhiata, un cenno del testone canuto.
“Mi trova al bar qui
fuori.”
Non faccio in tempo a
rispondergli che ha già imboccato la porta. Senza filarsi di striscio
l’assessore comunale. Sfuggo anch’io alle istituzioni e mi fiondo in
quarantasettesima scacchiera: il ragazzo è ancora lì, chino sui pochi pezzi
sparpagliati nel deserto bicolore.
“Avresti preferito
perdere. Anche se odi perdere”. Il
ragazzo annuisce senza alzare gli occhi dalla scacchiera.
“Stavolta era diverso.”
Ha una bella voce,
gentile ma ferma. Gli tendo la mano, quella di un semplice giornalista.
“Sono Bertis, della
stampa locale.” Il giovane solleva lo sguardo.
“Quel Bertis?”
“Demetrio. Il campione
era mio padre.”
Il giovane mi afferra la
mano: nella sua stretta colgo l’amarezza di chi sente di aver bruciato
l’occasione della vita.
“Mi chiamo Andrea
Falchetti.”
“Hai giocato bene,
Andrea. Come Botvinnik contro Capablanca. Mi permetti di scrivere di te,
nell’articolo di domani?”
Il ragazzo lascia la
stretta e si sistema gli occhiali sul naso da aquila.
“Va bene, ma Laurenti
giocava su cinquanta scacchiere...”
“Lo sai meglio di me che
qui, oggi, eravate solo voi due. Il resto era rumore di fondo.”
Andrea Falchetti si
scioglie in un sorriso timido. Gli faccio l’occhiolino e me ne vado, fuori dal
cerchio e dalla palestra gommata, felice di essere rimasto fino alla fine.
L’aria stantia del bar
non è migliore di quella della palestra. Mi faccio largo tra i tavolini stipati
di canaste, briscole e vecchietti avvinazzati. Laurenti è seduto da solo al
bancone. Mi dà le spalle. A giudicare dal cumulo di bicchierini che ha accanto,
deve essersi scolato un bel po’ di cicchetti. Mi avvicino. Le sue spalle sono
curve ma sempre imponenti.
“P-posso?”
Laurenti non mi guarda
neanche, agita la manona e mi fa cenno di sedermi. Obbedisco. Odora di vino, il
suo profilo grifagno è imporporato sulle guance. Un velo rosso gli infiamma il
chiaro degli occhi, fissi sul legno appiccicoso del bancone. Non sapevo che
bevesse così tanto.
“Che ci scriverà, nel suo
articolo per i polli? Che il campione ha finito imbattuto, o che è stato un
codardo?”
Afferra un cicchetto di
bianco e lo manda giù in un sorso. Fa cenno al barista di fargliene un altro.
Me ne sto lì a guardarlo senza sapere che dire. Mauro Laurenti è vecchio,
vecchio davvero, e io me ne accorgo solo ora. Il suo astro è al tramonto,
insieme alle varianti taglienti e alla freschezza del suo gioco. Può ancora
amministrare, certo. Affidarsi all’esperienza come Steinitz, il più longevo dei
campioni. Raggranellare piccoli vantaggi e vincere semplice, alla peggio
pattare. Con le giuste accortezze, può andare avanti ancora a lungo. Vivere
come i vecchi, senza correre rischi. Senza più brividi o vertigini. È di
questo, che voglio scrivere nel mio trafiletto inutile?
“Suo padre non avrebbe
mai cambiato i Cavalli.” Butta giù un altro sorso di bianco, si schiarisce la
gola e mi guarda. “Era uno che viveva senza compromessi, lui. Negli scacchi e nella vita. Me la ricordo bene la nostra
ultima partita, il suo ultimo scacco.”
Scosta i bicchierini con
una manata per fare spazio. Tira fuori una scacchiera da viaggio e sistema i
pezzi minuscoli con le dita da gigante. Mi fa uno strano effetto guardarlo,
quasi tenerezza.
“Vede, vede?”
In realtà non serve che
guardi, è una posizione che conosco a memoria. L’ultimo scacco di Ettore
Bertis, mio padre, allo sfidante Mauro Laurenti. Una patta per scacco perpetuo
che il campione ammalato avrebbe potuto prendersi, e che invece preferì
lasciarsi alle spalle. Per provare a vincere, senza paura di perdere. Perdere
cosa, poi? Un titolo provinciale, regionale, una simultanea improvvisata in una
palestra? Invece di tallonare il Re con la Torre, scelse di muovere il pedone.
Il mio pedone portafortuna.
“Scriverò di Andrea
Falchetti, nel mio articolo di domani. Del coraggio con cui l’ha affrontata,
con i migliori auguri per una brillante carriera.”
Il campione scuote la
testa canuta, disfa la posizione e ricrea il groviglio precedente al cambio di
Cavallo. Passa un dito tozzo sui crini di plastica dell’animale, l’accarezza
come se fosse vivo. Nel bianco della barba, un solco che sembra un sorriso.
“Brillante carriera.
Certo.” Scrolla di nuovo il testone e mi fissa con gli occhi spiritati di
alcol. “Non lo illuda, Demetrio. Quelli come noi sono campioni per modo di
dire. Karpov e Kasparov, Fischer e Spassky... eccoli i veri campioni, loro sì
che avevano il dono. E suo padre, anche se in modo diverso. Solo oggi comprendo
la lezione che volle darmi. Quel ragazzo... Cielo, quanto mi starà odiando.”
Annuisco senza replicare.
Vorrei dire tante cose, a lui e a me stesso, e invece mi si affossano tutte
dentro. Cose su mio padre e sul dedalo bianco e nero che è la vita. Non ci
riesco. Dalle labbra esce solo una frase, con una voce non sembra neanche la
mia.
“Muova il Cavallo in e5, Laurenti. Gioco io con il Nero.”
Dalla finestra di casa
lasciata aperta filtra una brezza piacevole. La respiro a pieni polmoni mentre
sfoglio gli appunti sul taccuino e le foto che ho scattato. Raduno idee ed
emozioni davanti al monitor; ripenso al dono che non ho mai avuto, quello degli
scacchi, e alla necessità che ho da sempre di scrivere, leggere e parlarne. Al
mestiere di giornalista e al sorriso di mio padre, alla sua mano tesa verso
Mauro Laurenti. Per consegnargli la vittoria, il futuro e il coraggio di chi
affronta il proprio tramonto. Mentre ci penso, giocherello con il pedone
portafortuna e capisco che mi sarà impossibile racchiudere tutto in un
trafiletto.
Abbandono il pc e mi
verso un goccio da bere appoggiato al davanzale: lo sguardo si perde tra le
stradine illuminate dai lampioni, le tegole dei tetti e il verde degli alberi,
i campi coltivati in lontananza. Il mondo e la natura sopravvivono a tutto,
indenni e indifferenti. Non ci sono nubi a offuscare i colori della sera. In
fondo, si tratta solo di scacchi, degli uomini e forse della vita. Come in un
libro di Maurensig, in cui tra cespugli radi di erica, pezzi elettrificati e
vecchie scacchiere piene di toppe, la tragedia dell’essere si fa variante
aggrovigliata, forse anche coraggiosa, ma non risolve mai il problema.
Il dramma della Storia resta, insieme a quello dell’uomo.
Mando giù l’ultimo sorso e mi rimetto al lavoro. Recupero la foto in cui Laurenti e Falchetti studiano il dedalo bianco e nero, sono bellissimi: un frammento vero, pieno di significato, prima che il vecchio campione rinunci alla lotta. Sì, voglio scrivere di loro. Di Andrea Falchetti, giovane di belle speranze, speranze che la vita delude quasi sempre; e di Mauro Laurenti, imbattibile ma umile, che in tutti questi anni non ha mai smesso di imparare. Non so ancora che parole userò, lo scriverò di getto come viene. Lancio un’occhiata al mio pedone portafortuna, seleziono i caratteri per il titolo e digito: “L’ultimo scacco, o una mossa di Cavallo”.
_______________
Copyright © 2021-22
Tutti i diritti riservati.
In memoria di Paolo Maurensig (1943-2021)