Sulle orme di Dante

Joel Rea, Forever Dante, 2008

 

A settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, in un anno complicato come il 2021, ho avuto il dono e la responsabilità di spiegare a una terza liceale la Divina Commedia.

Farlo a distanza è complicato, ma anche così, o forse proprio a causa di questo clima "da medioevo", le emozioni non mancano mai.

Tra disavventure quotidiane e altri impegni letterari, quali la stesura del romanzo breve L'aquila di Kos, il richiamo dantesco quest'anno è stato troppo forte.

E così, in occasione della Giornata Mondiale della Poesia, ho avuto il piacere e l'onore di partecipare all'antologia poetica Sulle orme di Dante promossa sul territorio arcorese, presenziando all'immancabile reading online.

A questo libriccino, privo di ambizioni o presunzioni di sorta, ho contribuito con la post-fazione e un paio di componimenti. 

Voglio condividerli qui nel giorno del Dantedì, per voi lettori e per ringraziare a modo mio il Sommo Poeta.

Uno dei due componimenti, Finis Terrae, è stato scritto in terzine appositamente per l'occasione. 

Misurarmi con la metrica dantesca è stato impegnativo, ma nel mio piccolo sentivo di doverlo fare.

Buona lettura e buon Dantedì a tutti.


Dante Gabriel Rossetti, Giotto painting the portrait of Dante, 1852


Finis Terrae

 

Un castello di soli aerei stridi,

in un deserto; e poi vidi te, o Dante.

Giovanni Pascoli, Conte Ugolino

 

 

Un frullo d'ali, impronte sulla sabbia.

Un sogno, forse. Un ricordo felice.

Nessun sospiro o lacrime di rabbia,

 

nulla. La voce, il viso di Beatrice.

Il mondo in gabbia, fuori la foschia...

si mostra, splende; è bello ciò che dice.

 

Saluta onesta, dischiude una via...

seguo le impronte, i passi dell'errante.

Un lucco rosso, fiore di Poesia,

 

la fronte cinta, severa di Durante.

Oltre la nebbia, la selva, la torre,

aleggia fioca l'ombra sua gigante.

 

Echi, fruscii. Il fiato di chi corre

tra i demòni. Le storie, gli occhi, i volti...

fiamma e brina nel circolo che scorre.

 

Passo le dita tra i capelli sciolti.

Ci sarò, ci sarai?, sfilo gli occhiali.

Non so, non sai... Troppi guai, dubbi molti...

 

Impronte sulla sabbia, frulli d'ali.

Cieli stellati sopra la rovina.

Sprofondi nell’abisso, e invece sali.

 

Lassù, quaggiù, bellezza pellegrina

andata a male, cieli ancora tersi.

La vita, una commedia aspra divina

 

in cui cercarti. Ti amo nei suoi versi. 

 

 

 

Dante Meditating the Episode of Francesca da Rimini and Paolo Malatesta



Inferno cinque

 

Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende

una menzogna, un sogno da poeti.

 

Amor ch’a nullo amato amar perdona

altra menzogna, fallace illusione.

 

Amor condusse noi ad una morte

la sola verità di questo canto. 


 

Poesia edita in Ceneri scarlatte, Kanaga, 2019 




Eugène Delacroix, La barca di Dante, 1822


Mentre riceveva il Premio Nobel nel 1975, Eugenio Montale pronunciava il discorso È ancora possibile la letteratura?, in cui ammetteva, suo malgrado, lo status “postumo” della parola poetica. 

Nel 2021, quasi mezzo secolo più tardi, a settecento anni dalla morte del Sommo Poeta, gli uomini dimostrano di aver perso dimestichezza con la poesia, accostandosi a essa come a un oggetto desueto, una reliquia da venerare o esibire. 

Commemorare gli antichi poeti, celebrarne gli anniversari e le inestimabili opere sono atti onorevoli, occasioni preziose di riflessione personale e civile. Pur avvenendo sotto i migliori auspici, però, sono spesso tali celebrazioni ad accrescere il senso di distanza, a cementare quel “muro di terra” che ci separa da loro, rivestendo di marmo ciò che un tempo fu carne e sangue, fino a farci dimenticare che i poeti furono uomini prima di noi. 

Chi sceglie oggi, con coscienza, di scrivere o pubblicare poesia, sa di compiere un atto rivoluzionario, anacronistico. Incomprensibile al mondo nell’immediato. 

Viene allora da chiedersi, come Montale nel giorno della sua massima consacrazione, se abbia ancora senso seguire davvero le orme di Dante. 

Non attraverso l’ennesimo atto celebrativo, facilmente accomodabile dai più nella comoda ombra dell’auctoritas, ma seguendo l’altra strada, più irta e perigliosa, che conduce l’uomo a farsi avanti in prima persona, per cantare e raccontarsi, grato ai maiores per la loro lezione, ma pronto a mettersi in viaggio tra luci e ombre. 

Una disposizione al coraggio, questa, che il poeta pellegrino ha voluto mostrarci in modo esemplare. Virgilio, la Letteratura già fatta, già celebrata, lo conduce su un sentiero micidiale; non esita a sorreggerlo, ma sta a lui camminare sulle proprie gambe, con le proprie forze e l’aiuto di Dio. Al cospetto di Virgilio, Dante si sente piccolo: è un uomo come tanti, in lotta con il mondo e se stesso. 

Il suo volto, a distanza di sette secoli, si è eternato di marmo e alloro, ricalcando quello virgiliano e sostituendosi a lui come simbolo di Poesia nel mondo; ma la storia della sua vita, dei suoi capolavori, si mostra vicina e di un’attualità senza pari. 

Chissà quante volte, prima di farsi marmo incrollabile, perfino il Sommo Poeta si sarà posto l’inesorabile quesito: è ancora possibile la letteratura? 

Il suo impegno letterario e civile, oggi faro di molti, fu una rivoluzione incompresa dal mondo di allora. Una chiamata, quella alla Poesia, che nell’immediato sarebbe stato più conveniente rifiutare. Dante Alighieri lo sapeva, ma ha scelto di seguire Virgilio nonostante tutto. 

Un atto d’amore, di fede. 

Una scelta da scontare con l’esilio e la sensazione di essere sempre “fuori tempo”, “fuori posto”. In difetto con sé e gli altri. 

A sette secoli dalla sua morte, la letteratura e l’umanità hanno ancora bisogno di lui, del suo pellegrinaggio esemplare attraverso l’Inferno della vita. 

Un Inferno “storico” a cui, nostro malgrado, sentiamo anche noi di appartenere. Nell’attualità sconcertante del 2021, nuova Età di Mezzo del mondo, seguire le orme di Dante (e Boccaccio) appare necessario, la chiamata alla letteratura più urgente. 

Bisogna avere il coraggio di risponderle, benché consapevoli che sarebbe meglio non farlo. Qualunque nostra risposta apparirebbe insensata, la poesia è fuori moda e noi non siamo Dante Alighieri. Ciò che ha compiuto lui resta ineguagliabile. 

Chi sceglie di seguire le sue orme sa di camminare su un sentiero difficile. È consapevole di vivere “fuori tempo”, “fuori posto”. In difetto con il mondo e se stesso. 

Ciononostante, i “manovali” della parola poetica esistono ancora, la onorano ancora. Potevano riservarsi il privilegio del silenzio, evitare di correre rischi. 

Con coscienza, hanno agito da incoscienti. Nani sulle spalle dei giganti che, più o meno consapevolmente, hanno affrontato la sfida più ardua, quella di cantare e raccontarsi, al cospetto del più grande di tutti. 

Nessuno di loro, di noi, sarà mai Dante Alighieri. Ma i maestri in genere apprezzano chi cammina sulle loro orme; chi li sfida, ammirandoli.



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