Le poesie ~ Phoenix

In miglior figura cambiato, risorgi. 

Claudiano, La Fenice


 

Sopra un gran monte dove nulla è,

dentro una selva dai contorni incerti,

vive in esilio l’uccello del sole

– ha nome Fenice – la più incredibile

di tutte le creature. Eternamente,

sempre celandosi agli occhi mortali,

spinge il suo volo ai limiti del sogno

e lì vi resta, simile a una stella

casta e pura, sospesa in lontananza

e inafferrabile. Oltre quel confine,

presso uno specchio d’acqua nebulosa

la Fenice giunge, atterra e si bagna:

c'è infatti un prato, da quell’altra parte,

pieno di fiori ed alberi e profumi,

tutto irrigato da sorgenti azzurre.

Lì la Fenice si pasce, libando

gocce stillanti d’etere e di sogni,

poi, cantando, riparte, sempre in volo,

– nulla è più dolce di quel canto sacro –

varca la soglia dell’eterno nulla

e torna, tarda, sopra il grande monte,

quando ogni cosa cede ormai alla notte.

Qui la Fenice s’annida, tremando

per il freddo, e battuta da un gran vento

l’alba sua attende, sola tra le altezze,

desiderosa d’innalzarsi ancora.

Questa la vita, questi i giorni eterni,

queste le notti deserte e terribili

della Fenice, mostro prodigioso,

essere vivo dove nulla è. 

 

*** 


«Ci sono cose che vanno lasciate

dall’altra parte, dove non si esiste»,

disse la strega occhi di smeraldo,

«io non capisco perché vuoi trovarla.»

«Perché la voce della gran Fenice»,

disse quell’altra, trattenendo un fremito,

rende immortali per l’eternità;

io voglio udirla e diventar padrona

di quel suo regno, dove nulla è.»

«Quale follia!», disse la strega nera,

«Tu cerchi quello che non puoi trovare!»

«E che per questo non conosce morte.

Strega potente, tu devi aiutarmi!»,

pregò bramosamente la fanciulla,

specchiandosi negli occhi di quell’altra,

«Dimmi ogni cosa, tutto e senza giri.»

La strega oscura, non malvagia, tacque

per un poco, poi scosse il capo e disse:

«Mai io ti condurrò laggiù. Va’ via,

donna crudele, trova da te stessa

l’eterna porta e atrocemente varcala,

se questo vuoi. Io non ti aiuterò.»

A quell’udire, senza alcun preavviso,

l’altra levò la mano, e i mercenari

distrussero ogni cosa con il fuoco:

la strega stessa fu bruciata e uccisa.

«Io ci andrò, invece, con o senza te»,

disse la donna crudele, poi chiuse

gli occhi e concepì in mente il cielo, i sogni... 

marciavano al suo fianco i mercenari. 

 

***

Oltre il confine dell’eterno nulla

veniva come sempre la Fenice

a dissetarsi, nutrirsi e cantare.

Raggiunse in volo il dolce e sacro fonte

nebuloso, e con l’ali sue scarlatte

già varcava le stille rugiadose

dell’etere, simili a madreperla,

con gli occhi puri e l’astro sulla fronte

lieto ed ardente di splendente fuoco.

«Usate gli archi», disse la fanciulla

ai mercenari, «fatela cadere.»

Troppo tardi si avvide la Fenice

dell’armata sconosciuta, schierata

tra i suoi fiori con gli archi alti levati.

Spalancò l'ali scarlatte, stridette:

i dardi la trafissero a mezz’aria.

Cadde nel vuoto, a precipizio sopra

le picche, atroci, dei profanatori.

«Svelti, la pira! Fatela bruciare!»,

comandò la fanciulla. E quella arse,

incatenata fino a farsi cenere,

sopra quel rogo sanguinoso e infame,

spandendo un canto di dolore immenso,

e la fanciulla diventò immortale.

Ma non s'accorse, in tutto quel trionfo,

– stava ormai assisa tra i vermigli fiori –

che tra le ceneri si nascondeva

un pulcino grigio, brutto, introvabile,

fuligginoso erede di quel fuoco  

dell’altro mondo, dove nulla è.


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Poesia edita in Ceneri scarlatte, Kanaga, anno 2019



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