I racconti ~ Espiazione rossa

 

Quanto più vasto è l'uso del grimorio,

tanto più l'anima diventa nera.

Quanto più l'anima diventa nera,

tanto più vasto è l'uso del grimorio. 


La taverna puzzava di alcol, sudore e morte. Gli avventori, perlopiù malandrini e farabutti della peggior specie, bestemmiavano gli dèi, giocavano a dadi o a carte, ingurgitavano litri di fuoco liquido dai boccali traboccanti.

Ciascuno di essi era un miserabile e, come tale, avrebbe continuato la sua baldoria fino a che per qualcuno, come sempre, non fosse finita a schifo: una parola di troppo o un imbroglio, poi l’ingiuria, la zuffa...

A quel punto, prevedibilmente, l’oste avrebbe salutato gli avventori, coperto con un telo il cadavere dell’accoltellato e rinviato la baldoria dei cani, suo affare, fino alla sera seguente.

Morgan sapeva che non si sarebbe mai abituato al fetore di quel luogo: gli faceva troppo ribrezzo. Ciononostante sedeva al tavolo e mescolava con le dita scheletriche un mazzo di carte, sporche e appiccicose. Uno dei malandrini lo tagliò con la mano sudicia, nera sotto le unghie; poi le dita del giovane ripresero a girare, producendo sul suo avversario un effetto ipnotico.

A differenza degli altri avventori Morgan non beveva, non bestemmiava, non ingiuriava né aggrediva il suo prossimo: a una prima occhiata non si sarebbe mai detto che appartenesse a quel luogo.

Eppure, all’interno della taverna, tutti lo conoscevano e sapevano che giocava, giocava fortissimo. Lo faceva per vivere, ma ciò non lo discolpava: lo stesso Morgan, a dispetto delle apparenze, era ben consapevole di essere un farabutto, forse il peggiore di tutti, poiché viveva a spese di tutta la feccia del mondo.

Distribuì le carte. La bestia travestita da uomo che aveva davanti tradì subito il suo punto e prese a scrutare Morgan con occhi maligni, dominandosi a stento. Morgan rispose con un’occhiata penetrante.

«Tutto il mio oro contro il tuo», soffiò l’animale. «Ci stai?»

«Hai già perso molto», sibilò Morgan, prendendosi il suo tempo.

«Sei qui per giocare o farmi da balia?»

«Sta bene», lo fulminò Morgan, gli occhi ridotti a due fessure. «Il tuo punto non vale i miei quattro draghi.»

L’animale bestemmiò gli dèi, gettò le carte unte e picchiò entrambi i pugni sopra il tavolo. I suoi occhi erano rossi, sembravano quelli di un demone. Cominciò a soffiare.

«Ragazzino... Figlio di un cane... Non è possibile, tu hai...»

«Non lo dire», lo interruppe il giovane con voce imperiosa. «Non costringermi a usarlo.»

Mentre parlava, il giovane accarezzava con la mano scheletrica il suo grimorio scarlatto, l’ombra di ogni sua colpa.

All’animale gelò il sangue nelle vene. Sbarrò gli occhi e implorò il perdono.

«Oggi è stata una giornata dura», sussurrò Morgan, concedendoglielo, «e tu hai bevuto troppo. Devi avere più rispetto per l’oro degli Avi.»

L’animale chinò il capo, spergiurò di cambiare e si inabissò tra i miserabili.

Disgustato dalla scena, Morgan intascò la vincita e lasciò il tavolo. Per quella sera ne aveva avuto abbastanza.

Uscì dalla taverna maleodorante e inspirò a pieni polmoni; un principio di euforia prese a pervaderlo segretamente da dentro: ingabbiò il sentimento, consapevole che tutte le cose si fanno più selvagge, se sepolte vive. Passò una mano sul grimorio e sorrise in maniera impercettibile. Cominciò a camminare per i vicoli e le strade malmesse, completamente deserte a causa dell’ora spettrale. Per ripararsi dal freddo e dalla vista degli uomini sollevò il cappuccio e si strinse nel mantello logoro, spaventoso e pieno di buchi.

Anche la città faceva spavento: non c’era una via che non fosse infestata dai ratti, un solo edificio che non cadesse a pezzi... Morgan imboccò un vicolo più oscuro degli altri, scese per una scalinata fetida e bussò tre volte a un portone che grondava sudiciume. Per la prima volta nella sua vita provava qualcosa di simile alla felicità.

«Chi sei, che vuoi?», gracchiò una voce rauca, sgradevole, dall’altra parte del legno.

«L’arcanista», gli rispose il giovane, assaporando il momento. «Ho l’oro. Tutto quanto.»

Il portone si aprì all’istante.

«Il ragazzino è smemorato. Non ricorda più che avevamo detto mille pezzi.»

«Erano cinquecento», sibilò Morgan.

Gli uomini seduti al tavolo risero.

«Mille pezzi, non uno di meno», ringhiò il più brutto, una bestia sfregiata piena di cicatrici.

Il giovane frugò sotto il mantello, ne trasse fuori una sportina di tela e la rovesciò sul tavolo.

Il legno unto biondeggiò d’oro.

«Sono mille», tagliò corto Morgan. «Più altri mille se non dovessero bastare.»

L’uomo pieno di cicatrici fischiò. Gli altri bestemmiarono per la sorpresa.

«Quindi fai sul serio.»

«Pensavo lo aveste capito.»

Nessuno rideva più.

«Prima spiegaci come hai fatto», grugnì lo sfregiato, sbigottito, «a metterne insieme così tanti e in così poco tempo.»

Morgan lo trafisse con gli occhi. La bestia sostenne il suo sguardo.

«Ho cercato bene tra i rifiuti, come fate voi. Il tempo era poco, ma dovremmo essere in tempo.»

Lo sfregiato non rispose.

«Siamo ancora in tempo, vero?»

Nessuna risposta.

«Rispondetemi, per gli dèi!», sibilò Morgan. «L’affare era stato concluso, vi avevo giurato che avrei riscattato in tempo la sua vita!»

«Ti abbiamo chiesto tutto quell’oro», disse allora lo sfregiato, «con il solo scopo di non fartelo raccogliere. Nemmeno tu puoi cambiare la sua sorte: loro la vogliono e tu sai cosa significa.»

Il giovane estrasse il grimorio. Poggiò la destra sopra la fodera, ne assorbì il potere e commise peccato.

Lo sfregiato e i suoi compagni si irrigidirono improvvisamente, cominciarono a boccheggiare e a raggrinzirsi. La stanza piombò nel buio.

«Me ne frego di loro. Ditemi dove l’avete portata, o diverrete cenere prima di lei.»

«Aspetta, aspetta», gorgogliò l’animale. Morgan allentò la stretta. «La ragazza... non è più qui... l’hanno già presa...»

Allentò ancora un po’.

«Quando?»

«Un paio di giorni fa... A quest’ora... Saranno già in mezzo al deserto.»

«Quanti?»

«Sette, otto... non ne sono sicuro...»

«Quanto vi ha reso, l’affare

«Cinquecento... pezzi... d’argento...»

La stretta di Morgan si fece feroce. Allo sfregiato venne la bava alla bocca. La sua faccia piena di cicatrici era ormai irriconoscibile, sembrava una mummia.

«Non potevamo... rifiutare... gli Avi... le reliquie...»

Morgan sollevò la destra appena in tempo: la faccia dello sfregiato ritornò alla sua bruttura iniziale e tutti ripresero a muoversi e respirare.

«Non dovevate mettervi neanche contro di me. Avete scelto il nemico sbagliato.»

«Non avevamo scelta», tossì l’altro, spregevole. «Siamo quelli che conducono gli scavi. Invece tu, ragazzino, non sei nemmeno questo; vali ancora meno di noi. Pensi davvero di poterli raggiungere, di riuscire a fermarli? Sei tu che ti sei scelto i nemici sbagliati.»

«Io scommetto di no.»

Lo sfregiato sollevò lo sguardo: il ragazzino faceva sul serio.

«Quanto?»

«I miei duemila, tutti quanti. Se non riesco a tornare sono vostri. Ma se torno con la ragazza ne avrò indietro ventimila. Niente scherzi.»

«Dieci a uno...», soppesarono lo sfregiato e le sue bestie. La scommessa non era trattabile.

Si voltò e fece per uscire, ma fu richiamato indietro da un grugnito tra il curioso e il terrorizzato. Si voltò lentamente.

«E se torni solo?»

Morgan si prese il suo tempo. Feroce e inespressivo, concluse a modo suo: «Salderò il conto una volta per tutte».

 

***

 

La strada per la Necropoli passava attraverso il deserto. Morgan camminava completamente avvolto nella sua cappa logora, mezzo sprofondato tra le dune di cenere. L’aria puzzava di morte, di fuoco: erano ceneri umane.

Con la mano destra avvinghiata al grimorio e gli occhi ridotti a due fessure, il giovane proseguiva in quella caccia solitaria. Era il suo tomo magico a condurlo verso di loro: qualunque altro tentativo di orientamento all’interno di quel deserto cinereo sarebbe stato inutile.

Il grimorio rendeva incessanti i suoi passi, gli mostrava chiaramente le tracce della preda.

Morgan sapeva di commettere peccato: ancora una volta, era la bramosia a guidargli la mano.

 

***

 

Calò la notte. Mentre marciava implacabile gli sembrò di udire delle voci che piangevano e si disperavano chiamandolo.

«Salva anche noi, mago del grimorio; salva anche noi, siamo come lei!»

Il mago del grimorio continuò a camminare. Del tutto insensibile alle preghiere degli spiriti, a occhi socchiusi, guardava fisso nell’oscurità.

Loro erano a pochi passi, Morgan lo sentiva: quanto più il grimorio lo avvicinava ai nemici, tanto più cresceva la brama di violenza.

Li trovò accampati alle pendici di una duna che pareva il profilo di una donna. Erano dieci ed erano pronti. Loro sapevano... Una massa nera all’orizzonte segnalava le prime tracce della Necropoli.

 

 ***

 

Morgan si avviò verso le tende. Li trovò allineati ad aspettarlo.

«Sappiamo chi sei... sappiamo che vuoi...», lo salutarono a una voce. «Sei ancora in tempo per tornare.»

«Sapete già che non lo farò. Dov’è lei?»

«Sta bene... per ora... Ma se vuoi salvarla devi farlo adesso... Una volta varcata la soglia sarà tardi...»

Morgan inchiodò la mano destra al grimorio. Giurò di ridurli a brandelli. Loro risero. Erano i primi a non tremare di fronte al suo grimorio.

«Commetti un peccato molto grave... se ci uccidi con quello...»

Il giovane rimase impassibile.

«Non mi interessa. Con o senza peccato io resto un miserabile. Ma lei no, ed è per questo, io lo so, che voi la volete.»

«Come la vuoi tu...», replicarono gli altri da sotto i cappucci, ciascuno col proprio grimorio.

Dieci a uno.

Morgan sorrise a denti stretti: la sua scommessa era stata troppo onesta.

 

***

 

«Mago del grimorio, mago del grimorio!»

Morgan riaprì gli occhi, fu accecato dal grigio della cenere e li richiuse. Trattenne a stento un lamento: ogni suo muscolo bruciava di dolore. Fu proprio quel dolore a renderlo più lucido, più rapido nel riafferrare i ricordi, i pensieri... Loro lo avevano sconfitto, la cenere lo aveva inghiottito. Era morto?

Nonostante fosse sepolto riusciva a respirare a fatica: la tela del cappuccio che gli copriva naso e bocca gli aveva salvato la vita.

Da quanto tempo giaceva così? Ricordò in cosa aveva fallito e rimpianse di non essere morto.

«Mago del grimorio, mago del grimorio!»

«Lasciatemi morire...», sibilò il giovane a occhi chiusi, mezzo soffocato dalla cenere e dal pianto. «Lasciatemi in pace...»

Le voci nella testa continuarono a chiamarlo.

«Salva noi, siamo come lei!»

«È troppo tardi, per lei! È finita, l’hanno già presa.»

«Salva noi, salva noi... mago del grimorio, siamo come lei...»

«Io, lei, non l’ho potuta salvare...»

«Salva noi, salva noi!»

Morgan gemette.

«Ma voi che cosa siete?»

«Siamo come lei, siamo come lei

«Menzogne!», sibilò il mago. «Lei aveva un volto, due occhi che voi non avrete mai!»

Sepolto vivo sotto la cenere, Morgan tentò più volte di scacciare le voci nella sua testa. Ma quelle continuavano a chiamarlo e confonderlo. Cominciò a conversare con gli spiriti fino a smarrirsi completamente. Le loro cantilene erano sia vecchie che nuove. Morgan non si era mai sentito così vicino alla morte e tanto prossimo a capire. Giaceva immobile ma vagava con la mente attraverso il deserto. I profili degli spiriti sorgevano dalle ceneri e si mostravano ai suoi occhi per rispondergli.

«Se voi siete gli Avi, perché mi chiedete di salvarvi?»

«Siamo come lei, siamo come lei...»

«Se siete come lei, lei è come voi; e dunque è già morta...»

«Siamo come lei, siamo come lei...»

«Se lei è come voi, salvando voi posso salvare anche lei?»

«Salva noi, salva noi...»

«Ma chi sono io, per salvare chi è già morto, chi non ho salvato?»

«Mago del grimorio, mago del grimorio!»

Morgan riaprì gli occhi. Si scoprì in piedi, feroce e inespressivo. La cenere degli Avi lo avvolgeva come un turbine. Mise la destra sul grimorio e ascoltò la voce dei morti. Dicevano che per trovarsi bisogna prima smarrirsi, che per risorgere bisogna prima morire. Rispose che era pronto. La cenere prese fuoco e divenne un vortice rabbioso. Cominciò a correre verso la Necropoli.

 

***

 

Annidati dentro la cripta, loro tremarono. Il muro fatto di teschi vibrò. L’altare marmoreo istoriato di orrori si riempì di crepe. Voragini oscure si aprirono in più punti sul pavimento. Si udivano in lontananza rintocchi di strumenti.

«È il tamburo degli Avi...»

Il muro fatto di teschi vibrò ancora. La cripta fu inondata di polvere. Sapevano già cosa sarebbe successo. In passato avevano commesso lo stesso peccato. Estrassero il grimorio.

Si udì un altro rimbombo, più vicino e più forte. I dieci sbarrarono gli occhi e lanciarono un urlo raccapricciante. Il tempo dell’Espiazione era giunto. Cominciarono a strisciare tra le tombe in cerca di riparo. Sembravano vermi. Il muro di teschi saltò, Morgan irruppe e con lui il fuoco degli Avi. I dieci squittirono dai loro nascondigli. Tomba dopo tomba, cunicolo dopo cunicolo, l’inferno delle fiamme di Morgan li scovò tutti, li punì tutti. Per gli Avi era giustizia, per lui vendetta.

Cominciò ad aggirarsi nella Necropoli. Sprofondò nell’abisso accompagnato dalle fiamme scarlatte. Da liberatore a schiavo, era questo il suo destino. Un giorno anche lui avrebbe scontato l’espiazione rossa. Raggiunse l’altare istoriato di orrori e avvinghiò il grimorio con entrambe le mani. Rallentò il vortice infuocato e chiuse gli occhi, contemplandolo nella mente: la chiamò per nome e lei rispose.

 

***

 

Lo sfregiato pagò Morgan fino all’ultimo pezzo d’oro. Il giovane intascò l’intera somma e non si mosse. L’animale lo guardò negli occhi impassibili, poi scrutò il volto eburneo, cinereo, della ragazza... sentì un brivido tagliargli la schiena.

«Hai vinto tu, ragazzino...», mugolò, tentando di congedarlo.

Morgan trasse fuori il grimorio e l’accarezzò: il conto con lo sfregiato e i suoi cani non era ancora saldato.

«Ho vinto e perso», mormorò. La sagoma della ragazza si sgretolò, divenne cenere grigia: a un cenno di Morgan cominciò a girare sempre più forte, sempre più veloce, si fece fuoco e divorò quello schifo.

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Racconti di Thanatolia, Crypt Marauders Chronicles

da un'idea di A. Forlani e L. Davia

Racconto inedito (2018)

 

 

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